martedì 24 novembre 2009

Terza Puntata: Siria on the road

Riassunto delle puntate precedenti: ci sono un tedesco, un milanese e un napoletano. Il tedesco, pur di non averli tra i piedi, scappa in Medio Oriente, ma il milanese e il napoletano vanno ugualmente a rompergli il cazzo costringendolo a visitare per la decima volta gli stessi posti.

A Maaloula che cazzo c’è? Trattasi di un piccolo paesino arroccato sui monti, non lontano da Damasco. Si risale un canion e si trova una piccola chiesetta cristiana dove per i turisti si celebra la messa in aramaico, la lingua di Mel Gibson. E ho liquidato così in tre righe un mezzo pomeriggio passato a camminare.

Da lì ci spostiamo ancora più a nord, facendo l’autostop per coprire gran parte del tragitto nel deserto in direzione di Mar Musa, arrivando a destinazione in piena notte (in realtà era ora di cena, ma nel deserto era buio totale). Deir Mar Musa al-Habashi (Monastero di Mosè l’Abissino) è un convento sorto nei pressi di una minuscola chiesetta dell’anno 1000 in cima a una montagna nel bel mezzo del deserto.

In questo monastero ha sede una comunità di monaci che persegue i suoi ideali di fratellanza, dialogo e pace tra i popoli ospitando gratuitamente i viandanti in cambio di piccoli aiuti spontanei nelle faccende quotidiane. Ma prima di arrivarci mancano ancora i 500 scalini che, più che a dio, mi hanno avvicinato a Satana, dalle bestemmie che ho tirato durante la mezz’ora di salita.

L’entrata, ad altezza puffo, costringe ad un inchino forzato al cospetto dell’onnipotente. Ci assegnano una spartana stanza in una casupola scavata nella roccia e, dopo qualche problema nel tenere in piedi le candele (rischio incendio: 50%), si va nella sala da pranzo a mangiare seduti a terra insieme a una trentina di persone e una quarantina di gatti quelli che scopriremo essere gli avanzi del giorno prima e del giorno prima ancora.

In effetti il monastero è collegato al resto del mondo da un sistema di carrucole che non basta a fornire ogni giorno un approvvigionamento adeguato. La cena però non è malaccio, anzi. Mi convinco che se il mio stomaco mi farà sopravvivere a questo, da qui in poi non avrò più nulla da temere. Successivamente attraversiamo un ponte a picco su uno strapiombo di 300 metri per accedere alla chiesetta in cui si celebra la messa, per tutta la durata della quale ovviamente mi scappa da ridere.

Abbiamo modo di conoscere alcuni dei vari personaggi che popolano questa comunità, come l’australiano che stava girando il mondo in bicicletta o il brasiliano dai tratti giapponesi (o viceversa) che trascorreva ogni mese della sua vita in un paese diverso. Il sonno è conciliato da un adorabile cane (che cazzo ci fa un cane nel deserto?) che avrà avuto le sue buone ragioni per abbaiare tutta la notte. In compenso, all'alba un COGLIONE viene a svegliarci per invitarci alla messa del mattino. Ancora? La vita monastica comincia a far arroventare un po’ i testicoli.

Andiamo a fare colazione. Sorpresa: si fa colazione con le stesse pietanze della sera prima, che con la luce mattutina rivelano il loro aspetto disgustoso.
Fingiamo di dare una mano a sparecchiare (io ho anche il tempo di rompere una busta piena di pane beduino e occultarla) e lasciamo il monastero per dirigerci sempre più a nord per visitare Crac des Chevaliers, un castello costruito dai crociati cristiani, col povero Zoder che ci era già tornato 3-4 volte durante le altre visite ricevute.

Dopo una vana ricerca tra le boutiques dell’accendino del Presidente, la fame bussa alle porte dei nostri stomaci e troviamo un ristorantino nelle vicinanze, ove un cameriere palesemente omosessuale ci serve chili e chili di fritture di cui ci scofaniamo come se non ci fosse un domani. Ed è questo che sarà fatale al nostro caro Alessandro. Sarà il pollo? L’hummùs? La melanzana fritta? Il ravanello? La digestione si fa per lui sempre più difficoltosa. Il tutto è aggravato dall’inquietante prospettiva del lungo viaggio in programma verso la città di Hama a bordo di un piccolo bus (il più scomodo incontrato finora) pieno fino all’orlo, seduti di fianco a un mitomane del luogo che ossessivamente tenta di intavolare discorsi con un Alessandro sempre più dolorante.

Hama è famosa per due motivi: uno, la presenza delle norie, grosse ruote idrauliche di legno che sfruttano la corrente del fiume Oronte per innaffiare frutteti e giardini; due, perché nel 1982 il Presidente (padre di quello attuale) ordinò alle milizie governative di raderla al suolo e sterminare circa 40mila islamici insorti contro di lui, battendo il precedente record e vincendo così la puntata di quella settimana di “Scommettiamo che”.

Con la colonna sonora delle lagne ossessive provenienti dalle 30 moschee cittadine, ci sistemiamo all’Hotel Noria e andiamo a cercare il ristorante “Le Quattro Norie” (i nomi sono sempre molto fantasiosi), reperito sulla guida Michelin dell’agonizzante Alessandro. Il ristorante sembra introvabile, e Zoder ha la bella idea di chiedere indicazioni a un tizio che fino a due secondi prima era completamente immobile su una panchina e che ora si offre di condurci sul posto personalmente e magari di andare a dormire a casa sua.

Quando Zoder decide di seguirlo, comincio ad inquietarmi e a dare evidenti segni di malcontento (trad.: bestemmie). Dopo mezz’ora buona di cammino, io ormai rassegnato al rapimento, Alessandro in preda agli spasmi intestinali, giungiamo sorprendentemente alle “Quattro Norie”. Il tizio, con cui Zoder aveva discusso per tutto il cammino parlando di chissà cosa, si era davvero incaricato di accompagnarci fin lì. Ci saluta e va via. E io che avevo diffidato di lui…

Consumiamo un frugale pasto, accompagnato dal fumo del narghilè che peggiora le già precarie condizioni di Alessandro, disgustandolo. Momento cultura: Zoder ci illustra le modalità con cui porgere il narghilè senza incorrere in pesanti allusioni sessuali.
Ritorniamo in hotel. Zoder spegne l’aureola e dormiamo.

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